Una pronuncia che fa discutere, ma che appare essere ben lontana dalla violazione dei principi costituzionalistici.
E’ un Giudice del Tribunale di Belluno ad affrontare per primo il delicato tema dell’obbligatorietà o meno, in specifici casi, delle vaccinazioni contro il Covid-19 e a dover contemperare il diritto di un lavoratore a non voler essere sottoposto alla somministrazione, con il diritto dell’azienda a prendere i dovuti provvedimenti al fine di tutelare il resto dell’organico.
Con l’ordinanza n. 12/2021 del 19.03.21 il Tribunale ha ritenuto giusta la sospensione dal posto di lavoro, da parte del datore, di otto operatori sanitari e due infermieri che, lo scorso febbraio, hanno rifiutato la somministrazione del vaccino Pfizer anti Covid.
A seguito di tale rifiuto, gli operatori erano stati messi in ferie forzate e sottoposti alla visita del medico del lavoro, il quale li aveva dichiarati “inidonei al servizio”, permettendo così che venissero allontanati dalle loro attività.
Gli operatori hanno immediatamente presentato ricorso al Tribunale per essere reintegrati nel posto di lavoro, rivendicando la libertà di scelta vaccinale prevista dall’ordinamento italiano, in particolare dall’art. 32 Cost. il cui secondo comma prevede che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Di contro, gli avvocati delle Rsa, senza mettere in dubbio la libertà di scelta vaccinale, hanno sostenuto che nel caso specifico doveva prevalere l’obbligo del datore di lavoro di mettere in sicurezza i propri dipendenti e le parti terze, ossia gli ospiti delle case di riposo, invocando il principio fondamentale del diritto alla salute, anch’esso costituzionalmente sancito dall’art. 32 co. 1, a norma del quale la salute è tutelata come fondamentale diritto dell’individuo e come interesse della collettività.
In sostanza, il primo ed il secondo comma dell’art. 32 della Costituzione implicano la necessità di realizzare un continuo bilanciamento tra esigenze individuali ed esigenze generali.
Il Tribunale ha fatto pendere l’ago della bilancia nella seconda direzione dichiarando insussistenti le ragioni dei sanitari, permettendo così che i lavoratori venissero sospesi dal posto di lavoro. Si legge nella motivazione “è ampiamente nota l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus Sars-Cov-2 essendo notorio il drastico calo dei decessi fra le categorie che hanno potuto usufruire delle dosi, quali il personale sanitario, gli ospiti delle rsa nonché, più in generale, nei paesi quali Israele e gli Stati Uniti in cui il vaccino è stato somministrato a milioni di individui.”
Una pronuncia che sicuramente farà discutere, ma che trova il proprio fondamento non solo nei richiamati principi della nostra costituzione ma anche in un precedente orientamento giurisprudenziale di rango costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza 5/2018, in G.U. 24.01.2018 n. 4).
Ed invero, la Corte Costituzionale nella richiamata sentenza ha ritenuto che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost., e non solo allorquando il trattamento è diretto a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche quando mira a preservare lo stato di salute degli altri, semprechè, in tale ultimo caso, esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili.
La Corte, senza lasciare equivoci, ha espressamente statuito che se il trattamento serve a proteggere la collettività, può essere reso obbligatorio e lo Stato ha massima libertà nelle modalità attraverso cui assicurare tale obbligatorietà, calibrando variamente le misure sanzionatorie volte a garantire l’effettiva imposizione.
Richiamando un tale principio ed equiparando la somministrazione del vaccino al trattamento sanitario, il Tribunale Bellunese ha pronunciato la richiamata ordinanza con la quale ha ritenuto lecita la decisione adottata dalla Rsa.
Sulla base di tali premesse, la scelta di sospendere i dieci operatori sanitari dalla casa di riposo per non essersi voluti sottoporre alla somministrazione del vaccino anti Covid, appare quindi essere ben lontano dalla violazione di quei principi costituzionalistici invocati dai lavoratori, almeno per due ordini di ragioni.
In primis perché si rileva che i dati scientifici dimostrano che il vaccino protegge non tanto dalla malattia, ma soprattutto dall’infezione, riducendo la possibilità di trasmettere il virus, per cui ne trae vantaggio l’intera collettività e non solo il singolo vaccinato
In secundis e sotto tutt’altro profilo, perché comunque la sospensione dal posto di lavoro è una sanzione ben diversa – e di gravità minore – di quella del licenziamento, in quanto implica il reintegro dei lavoratori al termine dell’emergenza sanitaria in corso, quando non ci saranno più rischi per gli ospiti delle strutture.
In conclusione, è l’interesse della salute della collettività ciò che secondo il Tribunale, è preminente sugli interessi e diritti del singolo individuo.
Ad intervenire sulla questione degli operatori sanitari c.d. “No vax”, peraltro è intervenuto anche il Presidente del Consiglio Mario Draghi che lo scorso 26 marzo, all’indomani del Consiglio Europeo, in conferenza stampa, ha dichiarato che si lavorerà alla emissione di un decreto legge per
disciplinarne gli aspetti. Ed infatti, nel prossimo decreto legge che entrerà in vigore dal 6.04.2021, il Premier, ritenendo che la vaccinazione costituisca requisito essenziale all’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative, ha previsto l’obbligo vaccinale per tutto il personale sanitario, comprensivo dei farmacisti, dei professionisti degli studi medici e degli operatori delle strutture assistenziali.
Avv. Renato Caruso
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